domenica 31 agosto 2014

Il clown e la mangiatrice di fuoco

 
Salvatore, come è andata la serata?, è Martina la prima ad entrare in scena adesso che lo spettacolo è finito. Mette da parte il liquido infiammabile e il tappeto rosso su cui si esibisce. Pochi spiccioli nel cappello e solo un fiore di plastica tra i capelli. Ma sembra seta, almeno da lontano. Avrebbe voluto fare la ballerina, non la mangiatrice di fuoco. Piccola e agile, con gli occhi vivaci e quella bellezza che ci metti un po' a capirla, ma che poi ti entra dentro.  
Ma quale ballerina e ballerina! Non si vive con l'arte, e poi finiresti a fare la zoccola come quelle della televisione. Tu sei mia figlia, e sino a quando vivrai in casa mia farai quello che dico io!, le ripeteva il padre continuamente, come un mantra. Su di lei, però, non aveva fatto affetto, per fortuna. 
Via di casa presto, appena maggiorenne, con nelle orecchie ancora il rumore della porta sbattuta in faccia al futuro che suo padre avrebbe voluto per lei: forse un matrimonio, forse un paio di figli. Aveva anche una madre Martina, certo, ma un rassegnato silenzio era l'unica cosa che le aveva saputo offrire. 
Tutto questo a lei però non importava: non delle porta che aveva sbattuto in faccia ai suoi; non di quelle che la realtà le sbatteva contro. Saranno i miei sogni a farmi strada, credeva e solo la strada l'aveva poi accolta. 
Era libera adesso, anche in mezzo ai flash dei passanti, troppo impegnati a scattare foto o fare video da postare su facebook per capire la persona che avevano davanti ai loro occhi; fatta di vita, danza, fuoco, anima.
Martina, lasciamo perdere, non mi va di parlare adesso, Salvatore invece no, lui non era felice. Il viso dipinto come una maschera triste, un pantalone troppo grande, le bretelle che gli segavano le spalle e quelle stupide bolle di sapone che tanto piacevano ai bambini. Sapeva farli ridere, tutti, ad uno ad uno. Ma di ridere non gli riusciva più. Un matrimonio fallito alle spalle e quel lavoro nell'azienda del suocero da cui l'avevano costretto a divorziare insieme alla moglie.
Ti avevo dato tutto: mia figlia, un lavoro e un futuro che molti non riuscirebbero neppure ad immaginare. E tu? Cosa ne hai fatto? Lo hai buttato nel cesso perché non sai fare l'uomo. Ma pensi che sia stato facile con mia moglie? Solo che ho agito da uomo, io! Non come te. E adesso non farti più vedere!, parole che Salvatore aveva impresse nella memoria, così come quella maledetta giornata di novembre, con la pioggia fuori e dentro, e quell'odore di asfalto bagnato che non andava più via. Un bilocale con Martina, pensava di avere soltanto questo. Martina, ecco cosa aveva d'importante, ma non lo aveva ancora capito.
Dai, torniamo a casa, si è fatto tardi, però passiamo prima a prendere un cornetto, disse Martina prendendolo per mano. Una piccola, quella di lei, che dava sicurezza ad una molto più grande.
E in quel bar, all'angolo di una notte che non era diventata ancora alba, con le tasche piene di spiccioli e il latte macchiato che dipingeva le labbra di Martina, Salvatore la guardò come se fosse la prima volta e si rese conto di aver sbagliato tutto. 
S'infilo allora due cannucce nel naso e incominciò a fare le bollicine nel suo cappuccino freddo in tazza calda. E rise Martina, e rise anche Salvatore. Giovanni invece non ci fece troppo caso. Pensava di aver visto di tutto ormai. Magro, con la schiena curva e il viso scavato per il troppo lavoro: metà uomo e metà macchina del caffè, ecco chi era. Sarebbe stato perfetto per un film di Fritz Lang o di Charlie Chaplin, ma per la gente era solo quello che faceva i caffè in quel bar aperto tutta la notte. 
Andiamo a casa adesso, non aveva voglia di parlare Salvatore, ma solo di addormentarsi accanto a lei. La strada li avrebbe aspettati, immobile, eppure mai uguale a se stessa, così come sempre diverse sarebbero state le persone che avrebbero applaudito i due amanti.


Massimiliano Cerreto
 
 
Nota: È ancora oggi il testo cui sono più affezionato, scritto una notte d'estate, al ritorno da una serata con gli amici sul lungomare di Napoli. È lì che ho incontrato davvero una mangiatrice di fuoco chiamata Martina e un clown di nome Salvatore, ma la loro storia è interamente inventata. La versione cinemato-grafica è contenuta in Riscritture.