Del giorno in cui si rese conto di essere
un imbecille
Un
autistico mancato, ecco chi era. Uno che si ritrovava sempre a
ricostruire la realtà da un dettaglio. No, la
visione d'insieme delle cose non faceva per lui.
Come quella volta che uscì con una ragazza e si accorse che lo
smalto delle unghie era in tinta con le pietre della collana: rosso
rubino ad essere precisi. Ed era preciso lui, sempre. Odiava il
disordine, soprattutto quello delle parole. Aggettivi messi in fila
senza virgole? Un orrore che lo spaventava più della solitudine. A
quella era abituato, invece. Una
solitudine invisibile, tipica di chi si sente sempre al posto
sbagliato nel momento sbagliato quando è in mezzo agli altri.
Perché ci usciva con le ragazze, e ne conosceva anche tante. Peccato interpretasse sempre lo stesso ruolo: l'amico. Non che gli dispiacesse troppo in fondo. Questo ripetersi di un copione imparato ormai a memoria gli permetteva di non corrompersi del tutto con la vita. Quella in cui si suda, si soffre e si lotta, fuori e dentro le lenzuola! No, non si sentiva adatto a questo.
Una volta una ragazzina lo rimproverò persino. Con quell'egocentrismo tipico dei vent'anni, che ti fa sorridere quando di anni nei quaranta ma incazzare quando nei hai la metà, lo guardò negli occhi e, senza neppure una pausa tra le parole, disse: mi vuoi da una vita e adesso che mi sono lasciata non fai nulla per avermi. Sei solo capace di vedere gli altri vivere.
Ma quando lo scrivi un dannato libro? La vuoi smettere di passare le tue giornate al computer senza concludere niente?, anche la madre era arrabbiata. Aveva sempre creduto nel talento di quel figlio sognatore. Ora, detto tra noi, usare l'aggettivo sognatore è un pietoso eufemismo. Aveva perso il filo che lo legava alla realtà, che cosa ben più grave. Ma cosa ne sai tu del selfpublishing? Oggi sono tutti scrittori! E poi a te piacciono i libri da supermercato mentre a me fanno passare la voglia di impugnare una penna per il resto della vita!, le avrebbe voluto rispondere. Ma preferì un indolore silenzio.
Perché ci usciva con le ragazze, e ne conosceva anche tante. Peccato interpretasse sempre lo stesso ruolo: l'amico. Non che gli dispiacesse troppo in fondo. Questo ripetersi di un copione imparato ormai a memoria gli permetteva di non corrompersi del tutto con la vita. Quella in cui si suda, si soffre e si lotta, fuori e dentro le lenzuola! No, non si sentiva adatto a questo.
Una volta una ragazzina lo rimproverò persino. Con quell'egocentrismo tipico dei vent'anni, che ti fa sorridere quando di anni nei quaranta ma incazzare quando nei hai la metà, lo guardò negli occhi e, senza neppure una pausa tra le parole, disse: mi vuoi da una vita e adesso che mi sono lasciata non fai nulla per avermi. Sei solo capace di vedere gli altri vivere.
Ma quando lo scrivi un dannato libro? La vuoi smettere di passare le tue giornate al computer senza concludere niente?, anche la madre era arrabbiata. Aveva sempre creduto nel talento di quel figlio sognatore. Ora, detto tra noi, usare l'aggettivo sognatore è un pietoso eufemismo. Aveva perso il filo che lo legava alla realtà, che cosa ben più grave. Ma cosa ne sai tu del selfpublishing? Oggi sono tutti scrittori! E poi a te piacciono i libri da supermercato mentre a me fanno passare la voglia di impugnare una penna per il resto della vita!, le avrebbe voluto rispondere. Ma preferì un indolore silenzio.
Poi, un giorno, l'euforia per aver ricevuto ben quattro notifiche e un messaggio. Era convinto di aver scritto il post
della vita e invece erano i soliti rompipalle che lo invitavano ai
soliti eventi, come se fosse possibile esserci in più
posti diversi, spesso anche a centinaia di chilometri di distanza. Il
messaggio no, quello era importante, almeno per lui: buona
giornata, smack! <3 <3 <3, così gli aveva scritto l'amica preferita. Di quanto poco ci si accontenta pur di sentirsi presi in
considerazione, hai notato?
Eppure
di lezioni ne aveva ricevute tante dalla vita
vissuta tre metri sopra il modem.
Era un veterano in questo. Le
emozioni sono sempre reali,
ecco come si giustificava con chi gli faceva notare che era tempo di
guardare in faccia la realtà: aveva bisogno di una donna! E non di
una di quelle 'modelle'
che fotografava gratis pur di catturare in uno scatto tutta la
bellezza che sapeva non avrebbe mai posseduto, ma una persona con cui
condividere finalmente quella storia mai raccontata, ormai ammassata tra le pieghe dei
ricordi.
Non che non ci provasse, almeno qualche volta, ad uscire dal personaggio, ma mai con quella sicurezza necessaria. Basta con i timidi ti amo, alibi per non confessare a se stesso che di desiderio si trattava, per non ammettere che il desiderio non ha bisogno di essere legittimato. Un ti voglio avrebbe dovuto dire, e poi crederci, almeno lui.
Non che non ci provasse, almeno qualche volta, ad uscire dal personaggio, ma mai con quella sicurezza necessaria. Basta con i timidi ti amo, alibi per non confessare a se stesso che di desiderio si trattava, per non ammettere che il desiderio non ha bisogno di essere legittimato. Un ti voglio avrebbe dovuto dire, e poi crederci, almeno lui.
Invece
erano mesi che cuorava
e mipiaciava
le foto del profilo di quella ragazza di cui non aveva mai neppure
ascoltato la voce. Sì, lo so che anche tu trovi che cuorare
e mipiaciare
siano termini orrendi. Ma
la vita se ne frega delle parole, di chi pensa che le parole siano
importanti e anche delle faccine giallo itterizia che trasformano i
sentimenti nella versione triste di una puntata dei Simpson. Non mi
ami? Ciucciati il calzino! Non ti piaccio? Ciucciati il calzino! Hai
sofferto troppo? Ciucciati il calzino! Non roviniamo la nostra bella
amicizia! Amici un corno, ciucciati il calzino!
E quel mattino di una giornata di luglio, stanco di tutte quelle
emozioni che non portavano a nulla, poco dopo aver risposto a quel messaggio in privato, vide apparire sul monitor la
fatidica schermata di facebook: vuoi
sospendere il tuo account? Inserisci la password.
All'inizio pensò di essere morto, ma adesso era solo un po' meno imbecille. Forse.
Massimiliano Cerreto