mercoledì 17 settembre 2014

Storia di gatti e televisione

Della lotta per il tele-comando

Siamo in tre più due in casa. E litighiamo come cani e gatti. Ora, capisco che ai due della famiglia con i baffetti e la coda - Vivì e Max - sia concesso esserlo per diritto naturale, gatti intendo. In realtà, la colonia felina è ben più numerosa, ma non sento di avere lo stesso grado di parentela anche con quelli che vivono in giardino. 
Del resto, proprio per sottolineare il legame che ho con il maschietto di casa, avrei voluto chiamarlo Massimiliano Junior. Avrei compensato, almeno in parte, l'egoistico bisogno di paternità, ma sarebbe stato ancora più difficile poi ri-chiamarlo all'ordine. Sarà che l'ho viziato a pappa e coccole, ma già adesso, con un nome così breve, non è molto ubbidiente. 
Il nome della mia ragatta Vivì è invece il diminutivo di 'voglia di vivere'. Lo coniò mia madre, l'addetta alla nomenclatura dei mici. Ricordo, ad esempio, di quando trovammo una micia particolarmente magra cui diede il nome Bia, diminutivo di Biafra. La trovai io, a dire il vero. Mao, il mio primo amatissimo gatto rosso, il cui nome fu scelto per ragioni onomatopeiche ma che poi ho scoperto significare gatto in cinese, era uscito in giardino e non voleva tornare. Così misi un piatto di pappa fuori la porta e arrivò la piccola Bia, oltretutto incinta. Ma il picco più alto di creatività lo raggiunse quando a tre cuccioli diede nome: For, Rest & Gump. Massimilià, chill so gatti nu poc furest (selvatici), replicò alla mia legittima obiezione.

Terminata questa lunga e inutile digressione, il punto è che penso sia normale amministrazione litigare. Ma non sempre! Una delle cause scatenanti è la televisione. A volte, ad esempio, mi capita di volere un po' di compagnia mentre scrivo, soprattutto di mattina. Ma perché questo rumore già così presto!, tuona papà. Smettila di vedere queste scemenze che poi ti arrabbi!, aggiunge mammà. Con l'accento sulla a, come si usa dalle mie parti. 
Devo ammettere che i dibattiti politici, perché è questo che la televisione trasmette di mattina, portino ad uno stato di rincoglionimento stordimento simile a quello vissuto da Fantozzi prima delle elezioni. Il ragioniere finì con il votare tirando lo sciacquone in cabina elettorale, peccato non poterlo fare anche noi, al di là della finzione cinematografica. Chiedo venia per la citazione colta, ma non si vive di soli felini e Fellini.

Durante i pasti è invece la volta del mantra sto_cercando_di_sentire_la televisione_non parlare, che ripetiamo a turno. Con l'unico effetto di non riuscire ad ascoltare nulla. Ammesso che questo sia un male, ovvio. La tragedia però arriva con la programmazione di prima serata. Dopo un interminabile quarto d'ora di zapping compulsivo da parte di mammà, con papà che ha iniziato a sbuffare già dopo i primi 30 secondi, la scelta cade sempre sul classico telefilm giallo. A nulla valgono le mie proteste da sedicente cinefilo che vorrebbero dirottare la scelta su film drammatici trasmessi da canali sconosciuti anche al decoder. Ma non possiamo guardare sempre quello che vuoi tu, obiettano. E così mi chiudo in camera e torno a scrivere. Certo, di televisori ne abbiamo tre, ma non è divertente litigare da soli, meglio farlo con qualcuno cui vuoi bene.

Massimiliano Cerreto