giovedì 18 dicembre 2014

Marco Lazzara - La TavolAperiodica – Idrogeno & Magnesio

Prosegue la rubrica dedicata a Primo Levi, autore, tra gli altri, de Il sistema periodico. A curarla è Marco Lazzara, anche conosciuto come il blogger errante. Non ha un proprio blog, infatti, ma sul profilo di google+ è possibile leggere tutti i suoi guest post. Già, ma chi è Marco Lazzara? Laureato in Chimica nel 2009, è docente presso il Centro Studi Test Torino ed anche scrittore. A proposito, ho letto il suo Incubi e Meraviglie e lo consiglio come regalo di Natale, non solo agli appassionati di fantascienza: una raccolta di racconti che i lettori più giovani apprezzeranno per l'immediatezza del linguaggio, seppure molto curato, e quelli più adulti per la maturità delle riflessioni. Da amante della scrittura, mi è piaciuto molto il modo in cui ha architettato i colpi di scena finali, ma non posso svelarvi nulla...

m.c.

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La TavolAperiodica – Idrogeno & Magnesio

La Chimica può essere divertente, ma non è un gioco. C’è chi, spinto dalla voglia di apprendere, si lancia in esperimenti senza preoccuparsi della propria sicurezza, perché la mancanza di conoscenze può portare al disastro. È ciò che accade a Primo Levi nel racconto Idrogeno, che mostra cosa succede quando non si ha idea delle energie che si vanno a liberare. A seguire, il mio racconto Magnesio, che narra di una storia curiosa che circolava nel mio vecchio liceo.

Idrogeno 

In questo racconto, ambientato ai tempi del liceo, Primo Levi e il suo amico Enrico si introducono di nascosto nel laboratorio casalingo del fratello di Enrico, che studiava Chimica all’università. I due tentano qualche piccolo esperimento, combinando un disastro dopo l’altro. Prima provano a fondere il vetro sul bunsen, poi a produrre il gas esilarante per decomposizione termica del nitrato d’ammonio; quando però comincia a svilupparsi un gas soffocante, smettono immediatamente, temendo sia tossico, e fanno bene, perché in certe condizioni il composto diviene anche esplosivo.

Levi decide allora di improvvisare una cella elettrolitica per dissociare l’acqua nei suoi elementi. Prende una pila, riempie un becker di acqua e vi scoglie del sale (per aumentare la conducibilità elettrica); quindi prende dei barattoli di marmellata e li capovolge nel becker, connettendoli alla pila con un filo di rame. Accesa la pila, iniziano a svilupparsi bollicine di gas e i due barattoli si riempiono uno di idrogeno e l’altro di ossigeno gassosi.

Enrico però non è convinto: Levi aveva usato il sale. E se nel barattolo ci fosse stato invece del cloro? Per dimostrargli di avere ragione, Levi accende un fiammifero e lo avvicina al barattolo di idrogeno, che esplode. Sì, era proprio idrogeno, visto che è estremamente infiammabile. 

Magnesio

Una volta giunto in seconda liceo, trovai ad attendermi una nuova materia: Scienze. Per quell’anno e il successivo, avrei dunque studiato Chimica. All’epoca non potevo certo ancora sapere che la Chimica sarebbe stata la principale occupazione della mia vita, anche se fin da subito mi appassionai a quella materia strana, fatta di mille curiosità, colori e magie, e delineata nei secoli da personaggi straordinari.

Tra le altre cose, io e i miei compagni venimmo a sapere dell’esistenza, nel nostro liceo, di un laboratorio di chimica, e che alcune volte l’avremmo anche visitato per compiere delle piccole esperienze, cosa che ci mise addosso non poca eccitazione. Prima ancora di metterci piede, però, ci venne raccontata una storia piuttosto curiosa: dei ragazzi più grandi che conoscevamo ci dissero, infatti, che sul soffitto del laboratorio c’era un’enorme macchia e che questa era il risultato di un esperimento finito male.

Alle nostre giovani menti si affacciarono subito immagini di spettacolari esplosioni, chiedendoci, nell’immaginare la scena, cosa potesse essere mai successo; alla prima occasione interrogammo quindi la nostra professoressa di Scienze in merito alla veridicità di tale storia, che in effetti poteva essere nient’altro che una leggenda urbana del nostro liceo.
E invece la storia si rivelò vera. Sembra che diversi anni prima, qualcuno stesse cercando di estrarre la clorofilla da delle foglie di spinaci. La clorofilla è una proteina contenuta all’interno delle cellule del tessuto fogliare dei vegetali, ed è a essa che devono il loro colore verde. Questa molecola ha come fulcro un atomo di magnesio, elemento fondamentale per la sua funzione biologica, in quanto è come una sorta di antenna per raccogliere l’energia luminosa proveniente dal sole, che la pianta immagazzina in forma di composti organici.

Qualcosa nell’esperimento con la clorofilla andò storto e la soluzione reagì violentemente, provocando un schizzo che dal bancone raggiunse il soffitto del laboratorio, lasciandovi la macchia. Onestamente a tutt’oggi non ho idea di quale solvente abbiano usato per riuscire a turbare in quel modo l’assolutamente pacifica clorofilla e produrre uno schizzo di ben due metri d’altezza.

Così, quando alla fine entrammo per la prima volta in laboratorio, subito cercammo con gli occhi la macchia: c’era, ed era notevole, un ellissoide sformato del diametro di almeno mezzo metro, di un colore tra l’arancione e il marrone, anche se ormai sbiadito dagli anni.
Questa era la storia che raccontai, più di dieci anni dopo, a una mia collega che insegna Biologia. Eravamo appena usciti da una riunione e lei si era offerta di darmi un passaggio in macchina fino a casa. Avevo saputo che nei mesi passati aveva fatto supplenza nel mio vecchio liceo, così, mentre eravamo in coda in tangenziale, mi misi a raccontargliela.

Ma non hanno mai pensato di ripulirla?, mi chiese, con candida semplicità, al termine del racconto. Rimasi per un attimo interdetto, poi mi ripresi e ridendo le risposi che no, evidentemente non avevano mai pensato di ripulirla, e che probabilmente, se tanto mi dava tanto, sarebbe rimasta lì per sempre. Oramai era una sorta di monumento storico.

A voler essere del tutto sincero, non so se quella macchia c’è effettivamente ancora, ma in fondo non ha importanza: esisterà sempre nei miei ricordi, testimonianza di una buffa storia che altrimenti si sarebbe perduta nel trascorrere degli anni, nell’eterno passaggio di studenti e professori, nell’appassire e cambiar colore delle foglie.