Racconto
jazz
Della
musica e dell'elogio dell'imperfezione
Non so cosa sia il jazz, anche se è soprattutto di jazzisti che ho scritto quando ero un giornalista. Comprenderai allora il senso di sollievo che ho provato nel vedere la celebre scena de La
leggenda de il pianista sull'oceano
in cui si afferma: quando
non sai cosa è, allora è jazz! Ma tra
il fingere di sapere e l'ammettere l'ignoranza, preferisco l'onestà
intellettuale. Potrei affermare che il jazz, prima ancora di essere un genere musicale, è
un modo di vivere l'esperienza del suonare, ma non ne sono poi tanto sicuro. I sapienti, invece, sostengono che il suo tratto
distintivo sia il carattere dell'improvvisazione, seppure in modo non esclusivo. Se
fosse davvero così nulla come il genere umano assomiglia di
più al jazz. Improvvisazioni sul tema del progetto divino, ecco
come dovremmo essere definiti tutti.
Questa notte ho camminato tra la gente di un comune noto alle cronache nazionali per problemi di criminalità e immigrazione clandestina. Ho ascoltato il tema della bellezza inconsapevole delle adolescenti, il ritmo di tacchi troppo alti sotto minigonne troppo corte per gambe troppo grosse e assoli di bambini in fuga da genitori dissonanti. Ho incrociato sguardi, sfiorato corpi, cercato a tutti i costi il contatto, almeno quello dei miei occhi in quelli dell'altro da me sino ad arrivare a quel finale in crescendo.
Ero in bar che Pier Paolo Pasolini avrebbe amato. Lì, dove ragazzi di vita, ormai diventati vecchi, trascorrono la loro estate fatta di bevande ghiacciate e karaoke. D'improvviso, come una pausa di un intero in un mondo sincopato che non tollera la bruttezza, forse per colpa di chi ha mal interpretato il legame tra etica ed estetica tramandatoci dai filosofi greci, da casse distorte, un microfono amatoriale e un corpo imperfetto proviene una voce fuori dal chorus: bellissima, limpida, pulita. Ed è in quel preciso momento che ho provato un senso di autentica meraviglia.
Massimiliano
Cerreto